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Recensione: LA CONDANNA di Walter Veltroni



LA CONDANNA
di Walter Veltroni
Rizzoli | La scala | 224 pagine
ebook €10,99 | cartaceo €18,50
19 marzo 2024


Giovanni ha ventiquattro anni e ha coronato il suo sogno, quello di lavorare nella redazione di un quotidiano. Intorno a sé, però, ha soltanto colleghi più anziani, ormai apatici, storditi da un mestiere sempre più in crisi. Tranne uno, Sergio Fabiani, caposervizio della cultura, che gli affida il compito di scrivere un pezzo su Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, linciato in modo selvaggio dalla folla nel settembre 1944. Il giovane giornalista si immerge allora nella ricerca e nello scavo: sotto la guida paterna di Fabiani, Giovanni ci porta sui luoghi che furono teatro del fatto – il Palazzo di Giustizia, il Tevere, Regina Coeli –, ci mostra le testimonianze di chi quel massacro l’ha visto e documentato, e ce lo restituisce in un racconto vivido, crudo, reale. Chi era Carretta? Un fascista o un antifascista? Oppure uno della “zona grigia”? Con la precisione del reporter e l’abilità dello scrittore, Giovanni ricostruisce la storia di una condanna controversa, brutale, di certo ingiusta. Indagando le pulsioni e la rabbia che agitano la folla di quel settembre 1944 rivede, nella Roma liberata dal fascismo e dall’occupazione nazista, gli strepiti e i livori che si muovono, velenosi, nelle relazioni di oggi, nella comunicazione, sui social. Walter Veltroni torna con un romanzo intenso, capace di raccontare un passato ancora attuale, in cui possiamo leggere in controluce – e forse decifrare, un passo alla volta, insieme a Giovanni – il presente in cui viviamo.

La mia recensione
È il 1944. L'Italia è ancora preda della ritirata tedesca e dell'avanzamento alleato. A Roma si inizia a fare la conta di chi resta e di chi non c'è più, di chi ha salvato la città eterna e di chi per anni l'ha depredata e ha aiutato a uccidere la sua popolazione. È il 18 settembre del '44 quando una folla si avvicina sempre più numerosa e più feroce al Palazzo di Giustizia. Tra di loro tante donne, madri e mogli di chi è stato ucciso nelle Fosse Ardeatine, ma anche tanti curiosi di vedere cosa succederà. È un giorno importante perché sta per iniziare il processo al questore di Roma Pietro Caruso, accusato di collaborazionismo, ma soprattutto di aver preparato le liste di coloro che verranno fucilati nelle Fosse Ardeatine. La folla lo sa, sa che Caruso è colpevole e ne vuole la testa; la folla ha paura che Caruso possa cavarsela, che possa scampare la morte; la folla vuole vedere con i propri occhi la sua condanna. È ora che iniziano i problemi. Questo mare di persone invade il Palazzo di Giustizia, sono ovunque, sbagliano strada, si riversano in corridoi e uffici, entrano nell'aula del processo.

"La folla ha aperto i cancelli, si è rovesciata, straripa per le scalinate austere, travolge le sottili dighe della polizia armata di fucili mitragliatori che non spareranno, irrompe a cuneo nell'aula satura [...] Il processo Caruso è finito prima di essere cominciato"

Non si può procedere così, il processo è rinviato e la folla fatta uscire, ma testimoni e parti lese sono invitate a restare. Si grida subito all'inganno! Il popolo ha paura che tutto venga fatto a porte chiuse, che Caruso, che manco hanno visto, possa essere assolto e che con lui giustizia non venga fatta. È ora che una donna leva un dito contro un uomo bassino, lo accusa e ne decreta la morte. Quella donna è Maria Ricottini, quell'uomo Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, in aula per testimoniare contro Pietro Caruso. Carretta viene spinto, strattonato, buttato giù dalle scale. I carabinieri presenti cercano di salvarlo portandolo via, ma niente vale i loro sforzi. Carretta viene circondato, trascinato per i capelli sui binari del tram. Lo vogliono fare a pezzi. Il conducente, sventolando la tessera del Partito comunista, ferma la macchina, blocca i freni e stacca la manovella, con il suo coraggio concederà a Carretta ancora qualche minuto di vita. Perché la folla non si ferma, è una belva feroce. Carretta è più morto che vivo, ha un occhio maciullato, ma ancora respira. Viene gettato nel Tevere, cercherà aiuto in chi, ignaro, è sulle sue sponde, lo colpiranno sulle mani con dei remi per non farlo aggrappare a niente. Donato Carretta morirà, secondo l'autopsia, affogato nelle acque limacciose del fiume. 

È una storia terribile quella di Donato Carretta che Walter Veltroni ricostruisce in maniera magistrale attraverso gli occhi di un giovane giornalista. La vita del giornale oramai è stanca e priva di emozioni, soppiantata com'è da tv e social. Eppure c'è ancora chi sa fare buon giornalismo, chi sa riportare a galla una storia dal sapore antico ma che urla modernità da ogni poro. Giovanni ha 24 anni, da poco si trova in redazione e gli viene chiesto di fare una nota su Carretta per la sezione Cultura del quotidiano. Dopo un passo falso e la ricostruzione del caso "Ferdinando Carretta", Giovanni si butta anima e corpo in questa storia che può apparire incredibile ma che ha invece basi fin troppo solide. Non basta dire cosa sia successo il 18 settembre 1944, bisogna capire come ci si è arrivati, capire chi fosse Donato Carretta ben prima di Regina Coeli, chi fosse Pietro Caruso e perché del linciaggio di Carretta abbiamo notizie a spizzichi e bocconi. Foto? Poche, tra cui quella del dito puntato. Video? Si, niente meno che un documentario girato da Luchino Visconti. Ma non è completo. Perché non lo è?

Domande su domande. Questo libro, un po' romanzo un po' vero e proprio documentario scritto, è un ricettacolo di domande, non solo le classiche 5 W del giornalismo, ma un pletora di punti interrogati che hanno portato l'autore a darci una visione molto precisa del clima nella capitale in quel fine estate del 1944. Perché non bastava cacciare i tedeschi, bisognava ricostruire una città e un popolo che si è visto ingannato dai propri vicini di casa, bisognava ricostruire una fiducia ( non è che ci si sia mai veramente riusciti eh). Il linciaggio di Carretta ci dimostra come si stesse fallendo in tutto. C'era paura ancora, paura che tutto finisse dimenticato, che i passi avanti fossero un tornare indietro, paura di tutto che quello che era successo nei mesi precedenti non avesse un perché. Da qui la follia di una folla accecata, che probabilmente o non sapeva neanche chi stesse crocifiggendo o lo aveva scambiato per lo stesso Caruso.

Non conoscevo la storia del linciaggio di Carretta, ammetto l'ignoranza. Ma leggendo questo libro di, alla fine, poche pagine ho sentito due sentimenti importanti. Da una parte c'è l'amore per una professione oggi giorno schiacciata dalla nuove tecnologie, quel giornalismo fatto di carta e penna, di archivi polverosi e analisi di immagini sgranate in cui per scoprire qualcosa da dare "in pasto alle rotative" (quanto fa Tutti gli uomini del presidente!) non bastava schiacciare un tasto sul computer ma bisognava sudarselo. 
Dall'altra c'è il racconto approfondito di una storia di follia e ingiustizia vista da tutti i punti di vista, in cui non ci si limita a trovare una vittima e un carnefice ma si osservano sfumature, si analizza il passato e si cerca di capire come sia potuto accadere ciò. 
Il risultato? Un'Italia in perenne bilico tra giusto e sbagliato, tra luci e ombre. 
Domande, tante domande, non solo fa questo libro, ma ti lascia anche dentro. Una su tutte: ma siamo poi così cambiati da quel paese che è stato nero e dittatore e che poi si è trovato schiacciato e vittima? Abbiamo veramente capito qualcosa da quel 18 settembre 1944?

Voto



Alla prossima



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