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Recensione: STORIA DI IRENE di Erri De Luca

Titolo: Storia di Irene 
Autore: Erri De Luca 
Editore: Feltrinelli 
Prima edizione: 25 settembre 2013 
Pagine: 109
Prezzo: Brossura - € 9,00 


Irene sorride, apre i denti, morde l’aria, la inghiotte a piccoli sorsi.
Gli occhi rimangono tondi e lontani. 
Si fida della mia età sbiancata alle tempie e sulla barba lasciata spuntare. 
Sa che manco di moglie e di figli. Le dico che scrivo storie e le vendo al mercato. 
Apro la valigia di commesso viaggiatore, mi metto a strillare i miei titoli buffi che nessuno ricorda e che chiamano l’attenzione per mezzo minuto. 
La nostra specie umana ha bisogno di storie per accompagnare il tempo e trattenerne un poco. 
Così io raccolgo storie, non le invento. Vado dietro la vita a spigolare, se è un campo, a racimolare, se è una vigna. 
Le storie sono un resto lasciato dal passaggio. Non sono aria ma sale, quello che resta dopo il sudore. 


Si presenta così il narratore della Storia di Irene: è un uomo maturo che raccoglie storie, le trasforma in libri e le vende. Per il lettore sarà spontaneo (per me lo è stato, almeno) immaginare lo stesso De Luca che, seduto sugli scogli, ascolta la storia di una giovane donna. 
Irene è una creatura solitaria sulla terra. Ha appena quattordici anni ed è incinta; non si sa chi sia il padre: è quanto basta perché l’intero villaggio le tolga il saluto. 
Irene non parla ed è schiva, ma non ha bisogno di aiuti per vivere. 


Irene sa le risposte a cose che non fanno domande.


Ogni notte, anche in inverno, Irene esce a nuotare. Racconterà la sua storia, ha promesso, alcommesso viaggiatore, ma solo dopo che la sua creatura sarà nata. 
Storia di Irene non è che un racconto, è breve e si legge in fretta. Molti rivelano più dettagli, lo stesso risvolto di sinistra del libro riassume impietosamente l’intera narrazione. Forse perché si ritiene che non sia così importante cosa, ma come, e se questo dipende da De Luca, sono la prima a chiudere un occhio. 
Questo racconto di De Luca, però, meriterebbe di essere gustato tutto, con la sorpresa di scoprire il segreto di Irene a tempo debito. Vi invito, quindi, ad affidarvi alla sua penna senza cercare altri dettagli. 
Affronto, nel confidarvi le mie opinioni, la difficoltà di amare molto De Luca. A tanti il suo stile sembra un esercizio di bella forma, forzatamente ricercato ed esasperatamente poetico. Personalmente trovo che abbia il potere di dare (o restituire?) a ogni parola, persino la più semplice e piccola, la bellezza. Ogni volta ne assaporo con piacere l’intensità espressiva. 
Riconosco, tuttavia, un ripiegarsi in questo racconto: lo stile diventa più intimo e più complesso, meno lineare come se la penna non riuscisse a seguire il filo teso della narrazione, ma si avviluppasse su se stessa lasciando tracce di inchiostro lungo la spirale stretta di una conchiglia. 
Ho amato anche questa prova di De Luca, anche se ho faticato ad adattarmi alla particolarità della narrazione e ho trovato troppo breve la storia. Quasi a risarcimento si trovano allegati due racconti, in cui lo stile torna a essere lineare, più concreto e vicino alla prosa: Il cielo in una stalla e Una cosa molto stupida, uno scritto dal sapore amaro, di cui ho apprezzato la dolce serenità che si trova nelle righe finali. 
Presente in tutti i libri di De Luca o, meglio, in quelli che ho letto finora, il mare dei tre racconti è un mare che salva, cura e restituisce alla vita, ma anche un mare che si fa culla e porta oltre.



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