Recensione: Rallentatore di un incontro di Federica Gianola

5/06/2016

Titolo: Rallentatore di un incontro
Autrice: Federica Gianola
Editore: Lettere Animate
Ebook: 0.99 Euro
Pagine: 75
Sinossi:
"Entriamo in questa vita da una porta secondaria, una spinta e via, tutto diventa suono. Se l'umanità fosse nota, vorrebbe essere un re."
Blu è un trentenne di oggi, uscito da belle arti per capire quali fossero quelle brutte. Artista zaino in spalla, lascia l'Italia della crisi di carta e finisce a bucare gallerie in
Provenza. Sabine è sua madre, ma è anche la donna che era prima di diventarlo. Ama un musicista incontrato sul mare, Pablo, che abbandona il sogno di diventare famoso dopo un grave incidente di moto. Pablo a sua volta ha avuto un padre, Ettore, assenteista per l'ombra incombente del suo. E una madre, e un nonno, e Louis, l'amico immaginario che lo accompagnerà nelle tappe più importanti.
Rallentatore di un incontro è la loro storia. La storia di una famiglia come tante, dove ognuno, prima di ricoprire un ruolo sociale, è un individuo a sé e come tale si racconta in piccoli aneddoti quotidiani. Come una pigna prima di diventare albero, e carta, e libro. L'incontro di questo libro, è con la vita.

Recensione:
Questo racconto è scritto benissimo, a prescindere dalla storia che racconta e dai personaggi presenti, è bellissimo semplicemente leggerlo e lasciarsi trasportare dalla magia delle parole, dalle immagini che evoca. Se dovessi descrivere la sensazione che mi ha dato lo stile del racconto direi che è come un torrente di montagna in una splendida giornata di primavera oppure come un suono puro e pulito senza il frastuono di tutto ciò che è artificiale. È davvero fluido come acqua fresca, evocativo, originale, potente, onirico, poetico. Infatti più che prosa sembra poesia.
Narra alcune scene della vita di questa famiglia, però ogni tanto il punto di vista cambia, e questo purtroppo è l’unico lato negativo del racconto, perché ho avuto difficoltà ogni volta a capire chi fosse la voce narrante di quel momento.
Questo racconto è un puzzle di immagini e sensazioni, un lungo flusso di coscienza dei personaggi. Ho adorato come la scrittrice gioca con le parole, forse la mia parte preferita è l’incipit.

Lo si ricorda come è stato. Magari è immaginario, sensazione, ma lo si ricorda. Tutto era ovattato, come a volerci proteggere dal volume. Sto parlando di lui, il silenzio, è protettivo, come una madre con il suo neonato, è possessivo, come una madre che ancora allatta una bocca adolescente. Quando gli sfuggi, poi, cerca di affogarti nella tua stessa culla, in quel liquido che ti aveva fatto da balia e carceriere. Non lo fa con rancore, vive di bisogni primari, sogni, come noi. La solitudine è un luogo abitato da troppa gente emarginata, che per paura non fa gruppo. E così ci viene a trovare, il silenzio, di quando in quando, di dove in dove, di perché in perché. Viene con le domande da cui scappiamo, e stridono.

Consiglio questo racconto sicuramente a chi ha voglia di qualcosa di completamente originale, a chi, più che una storia, interessa il come è raccontata.Non che la storia non sia bella, anche i personaggi meritano, ma lo stile è la cosa che mi ha colpito di più in assoluto. Leggerlo per me è stata una piccola parentesi riposante da tutto il resto, un limbo in cui lasciarsi cullare e apprezzare semplicemente la bellezza delle parole.

Non ho mai capito perché il mare sia maschio. L’ho visto solo una volta, più di vent’anni fa, quando a Genova si vedeva ancora la schiuma. Dal finestrino del treno il grande porto sembrava solo un. Uno qualsiasi, un cameo, una comparsa, porta a scomparsa in quella vastità.
A me il mare ricorda la lana, perché s’increspa. Femmina di certo, sente la luna e la corrente. Sfiora la riva prima di lasciarsi toccare e non c’è un punto che sia uguale a un altro.





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