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Recensione: DIAVOLI CUSTODI di Erri De Luca e Alessandro Mendini

Titolo: Diavoli custodi
Autori: Erri De Luca e Alessandro Mendini
Prima edizione: Feltrinelli - 14 settembre 2017
Pagine: 97
Prezzo: Cartaceo - € 14,00; ebook - € 9,99

Dall’incontro di due personalità eccezionali nasce un libro unico e prezioso, che affianca a trentasei disegni (in bianco e nero e a colori) dell’artista Alessandro Mendini altrettanti racconti di Erri De Luca.
Si comincia con un’illustrazione, sulla pagina a sinistra, da cui poi il racconto posto al fianco prende liberamente l’abbrivio (“Qui l’immagine,” scrive De Luca in apertura, “ha la precedenza e da lei ha origine la pagina di destra”), e così si prosegue fino alla fine, dove l’ultimo racconto – sull’indifferenza – ha la forza di far scaturire a propria volta il disegno che chiude il volume.
Erri De Luca e Alessandro Mendini, iniziando quasi per gioco e poi via via stabilendo fra loro un dialogo di forme e parole serrato e ricco di senso, tracciano sulla pagina le proprie paure, le tentazioni, le fiere ostinazioni, e tutto un campionario di “mostruosità terrestri”. E dunque, a ben vedere, compongono anche un libro di piccoli eroismi che scandaglia, attraverso percorsi sorprendenti, tutt’altro che logici e prevedibili, il nostro più profondo sentire: facendoci avvertire il fiato dei mostri sbrigliati dietro le spalle e al contempo consegnandoci le chiavi del serraglio dentro cui tenerli a bada.
A ispirarli nelle loro opere i disegni di una serie di mostri, alcuni buffi altri minacciosi, tracciati da Pietro, un bambino caro a entrambi.


***

È un libro sottile, che tende l’inganno di essere una lettura facile. Illude che la si possa gestire nell’arco di una mezz’oretta, ma la comprensione e la digestione sono tutt’altra cosa.
Diavoli custodi è un Giano di disegni e testi che non si fronteggiano, non si completano, ma dialogano: e se, per mia natura, afferro più lentamente i disegni, i testi di De Luca sprigionano un’intensità e una complessità che non riesce a lasciarmi indifferente, che mi impegna per giorni su una pagina.
Non è un romanzo illustrato: sono disegni e scritti personali; gli autori hanno condiviso sul foglio un frammento, certamente scelto, di loro stessi e della loro vita. Eppure, quelli che ho visto, quelli che ho letto, non sono i diavoli custodi di Mendini o di De Luca; non solo.



Diavoli custodi nasce dall’introspezione: ispirandosi ai disegni di un bambino dislessico che imprigiona i suoi mostri nella carta, Mendini fissa e dà forma ai suoi mostri. Ci sono immagini esterne che si fissano dentro, come la potenza del terremoto, e ci sono immagini che sono già una parte dell’uomo, come un occhio o una mano.
Nel libro le opere di Mendini occupano la pagina di sinistra perché sono l’inizio della particolare corrispondenza tra artista e scrittore: dai disegni De Luca trae lo spunto per proseguire un’indagine fatta di parole. La suggestione del disegno è la scintilla di una riflessione che ha radici nell’esperienza dello scrittore, nei suoi ricordi.
I Diavoli custodi sono vivisezione, l’invasione autorizzata (e perciò anche filtrata) di una dimensione realmente intima. Eppure, questi diavoli, che il loro aspetto rende facile definire mostri a dispetto dei colori, che appartengono a Mendini e De Luca possono, in misura diversa, appartenere a ciascuno di noi.
Dall’introduzione ai mostri è stata presa la quarta di copertina: «I mostri sono diavoli custodi dell’infanzia, nessun angelo può tenerli a bada».
Io citerei altre frasi, almeno una per sinistra: i disegni sono immagini che la mia mente ripropone e non sa ripetere a parole. La ripetuta citazione di quarta, però, mi fa pensare a un innocuo mostro con il pigiama nascosto sotto al letto e in cerca di amicizia.
Conoscere, definire, disegnare, raccontare servono a comprendere la propria paura, a comprendersi e difendersi.
Ho guardato e letto le pagine ad alta voce. Ne ho sentito il bisogno perché c’è molto da assorbire, da vagliare. E così ho sentito il peso che De Luca dà sempre alle parole e il desiderio di fermarle dentro di me.
Il tempo preteso da questo libro fa un dispetto allo spessore: Diavoli custodi è fragile e versatile. Si può leggere senza un ordine, aprendolo per caso e per caso trovarci quel sentimento su cui si stava ragionando, scoprire una nostalgia che è comune a un altro. Può, però, scivolare via: sembrare un gioco, un esercizio di scrittura che mette in mostra conoscenze e vita, ma non ha niente da lasciarci.
Confesso: avevo tentato di leggerlo anni fa, ma inciampavo senza capire e l’ho messo da parte, finché rileggere il titolo mi ha scosso e ho sentito che dentro il libro c’ero anch’io.
Mi sono trovata e ho trovato anche altro. In futuro aprirò per caso una pagina e di nuovo guarderò ad alta voce.


Racimolo così un senso della voce indifferenza: rinunciare a stabilire le proprie differenze. 



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