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Recensione: "MEMORIES OF A RUINED SUMMER" di Gabriele Gezim Kaci

Mi sono avvicinata a Memories of a Ruined Summer con una certa curiosità, suscitata in me dalla giovane età dell'autore, dalla possibilità di conoscere una cultura diversa dalla mia e non ultimo dalla cover. Quest'ultima non è particolarmente originale, eppure ha in qualche modo contribuito.

***

Titolo: Memories of a ruined summer
Autore: Gabriele Gezim Kaci
Editore: L'Erudita
Pagine: 143
Prezzo: Brossura - € 13,00

Trama:
Programmare le tanto attese vacanze estive e alla fine essere costretti a passarle nella terra d'origine, un paesino sperduto dell'Albania. È quello che succede al protagonista e io narrante del libro: un lungo esilio in una terra che non sente più sua, lontana anni luce dalla civiltà come lui la intende, un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato. A Kruja, questo il nome della cittadina, il protagonista è costretto a sopportare ciò che più detesta: incessanti pettegolezzi sulla vita altrui e una religiosità quasi morbosa che invade tutti gli aspetti della vita quotidiana. È così che il suo essere vegetariano scatena incomprensioni con la nonna. Le giornate passate al mare a discutere con lo zio se i cambiamenti climatici siano conseguenze dell'effetto serra o compimento del volere divino, i rimproveri ricevuti dai gestori di un fast food per aver affermato che i terremoti siano causati dallo scontro tra placche terresti e non dalla caduta di un capello di Dio, la partecipazione ai matrimoni dei parenti di cui non ha il minimo ricordo e il pavoneggiarsi delle madri su quanto siano brave e belle le proprie figlie, scandiscono le vacanze del protagonista.

***

La mia recensione

there will be trouble in the Balkans in the spring

Ovvero, ci saranno problemi nei Balcani in primavera. Il romanzo si apre citando la frase di un personaggio de La luce che si spense di Kipling (1899), divenuta tanto famosa da dar il titolo a un altro libro e trasformarsi in un modo di dire.
Se il personaggio di Kipling era solito predire una guerra nei Balcani per la primavera successiva (prima o poi, dimostra la storia, ci avrebbe azzeccato), molto più consapevoli appaiono autore e protagonista.
D'altra parte è comprensibile che per quest'ultimo la prospettiva di trascorrere l'estate nella sua città natale, Kruja (Albania) non appaia rosea: ha infatti dovuto rinunciare alla Danimarca e al concerto dei Kings of Lion. Tra i due Paesi non vi è possibilità di paragone.
Il ragazzo parte con l'opprimente consapevolezza di quello che lo aspetta. Kruja non sarà diversa dalle estati precedenti: i cittadini saranno tutti, in un modo o nell'altro, imparentati (anche se spesso non risultano esserci condivisioni minime di dna); le famiglie trascorreranno gran parte della giornata chiusi in casa e le donne soprattutto non oseranno uscire se non accompagnate.
Il protagonista è arrivato in Albania da poche ore e al lettore appare già tutto piuttosto chiaro: la società è patriarcale in modo eccessivo e irragionevole; le conoscenze scientifiche non hanno contaminato il paese.
Tanti sono i principi con cui il ragazzo si deve scontrare e che troppo facilmente definiremmo assurdità. Non nascondo di aver spesso trovato divertenti alcune ostinate affermazioni.

«Senti, ma chi è che si sposa?» Domandai a mio cugino, mentre ci accingevamo a scendere una strada che avrebbe messo in difficoltà perfino Bear Grils.
Lui attese di essere arrivato in un punto più percorribile e si voltò verso di me «È un cugino di  mio  
padre.»
Mi informò.
La cosa iniziava a prendere una brutta piega, come al solito. «Quindi, anche di mia madre.»
Lui annuì poco convinto. «Sì, in un certo senso sì. Ma è più imparentato con me che con te.»
Per un momento pensai di non rispondere nemmeno a tale affermazione. Sarebbe stato del tutto vano e non avrebbe portato a nulla di buono. Ma non resistetti a lungo.  «Tuo padre e mia madre sono fratello e sorella. Se questo tipo è cugino di tuo padre, è cugino anche di mia mamma, cosa dovrebbe rendere la faccenda così complicata?»
Lui mi fissò allibito, come ormai faceva di solito. Era l'unica espressione che riuscissi a ricordare del suo volto. «Ma tua madre è una donna, e mio padre è un uomo, quindi lui ha una parentela più stretta. Come fai a non capirlo, è talmente chiaro.»
Già. Cristallino.

Equesta è solo una delle tante scene a cui il lettore assiste seguendo la narrazione. Vi sono anche i terremoti provocati dai capelli di Dio e tutti i lavori del Signore che i meteorologi sono soliti prevedere nel resto del mondo.
Leggendo questa carrellata di credenze popolari, mi sono sentita piuttosto infastidita: io stavo lì, seguendo il dito del protagonista che mi indicava ogni mancata evoluzione culturale, e mi chiedevo per quale ragione continuassi a fissare la pagliuzza nell'occhio altrui. La nostra progredita società non ha forse dei difetti, per usare un eufemismo?
Il racconto delle vacanze più disastrose che un giovane possa sopportare (?) prosegue nella minuta e sarcastica descrizione delle tradizioni e delle abitudini locali. Il protagonista non cela il suo ironico disprezzo né nel riportare le vicende né nel confrontarsi con la famiglia e in particolare con lo zio.
Spesso avrei voluto dare al protagonista una botta in testa: è un ragazzo che ama accendere focolai di discussione, specie se una delle parti coinvolte reputa l'argomento scandaloso. Non ne ho mai capito il motivo e io sono una a cui piace il confronto e lo ricerca; in questo caso però non si trattava di confronto ma di sterile provocazione.
Lo stile della narrazione inizialmente risulta accattivante e sembra essere la vera carta vincente del romanzo che apre con una descrizione tratta da wikipedia un po' asettica (è specificato nel romanzo stesso). Tuttavia l'ironia viene portata all'estremo: è una presenza costante, talvolta crudele, che finisce con l'appesantire la lettura.
Non ho apprezzato la ripetuta definizione di un comportamento come balcan style (nella mia testa partiva la più famosa canzone di Psy) e il reiterato Maccheronia (per non parlare del Pizzaland) in luogo dell'Italia. Al contrario ho preferito alcune riflessioni sul tema religioso o le più schiette analisi storico-politiche non solo sull'Albania, ma anche sul Belpaese.
Inoltre, superata abbondantemente la metà del romanzo, per me è diventato sempre più importante scoprire dove volesse andare a parare l'autore ed è con rammarico che ammetto che purtroppo non l'ho capito nemmeno alla fine.

In conclusione ritengo che lo stile dell'autore debba maturare in direzione di un maggiore controllo e che la struttura del romanzo debba essere rafforzata, soprattutto se l'obiettivo è una riflessione finale in cui il lettore necessita di una guida discreta, ma salda.



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