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Recensione: MENZOGNA E SORTILEGIO di Elsa Morante



Titolo:
Menzogna e sortilegio
Autore: Elsa Morante
Editore: Einaudi
Pagine: 728
Prezzo: cartaceo - € 17,00; ebook - € 7,99

Trama
Scritto subito dopo la seconda guerra mondiale, la Morante con questo romanzo ha iniziato il suo lungo percorso letterario. "O impareggiabile prosapia! Mia madre fu una Santa, mio padre un granduca in incognito, mio cugino Edoardo un ras dei deserti d'oltretomba e mia zia Concetta una profetessa regina. Si fissarono così, in solenni aspetti a me familiari, le maschere delle mie futili tragedie...". Così assediata da tali "magnifiche" ombre, l'io narrante di Menzogna e sortilegio s'incammina verso la necropoli del proprio mito familiare: pari a un archeologo che parte verso una città leggendaria.


***

La morte della madre adottiva ha lasciato Elisa apparentemente sola, con l’unica compagnia del misterioso Alvaro. In realtà la ragazza ha da sempre goduto della presenza dei personaggi fuoriusciti dai romanzi per abitare la sua fantasia e renderla protagonista delle avventure delle storie a lei note. Da qualche tempo, però, ai sogni a occhi aperti si sono aggiunti quelli notturni. Proprio quando vorrebbe riposare, Elisa riceve la visita dei suoi famigliari trapassati che le permettono di assistere al passato e alla dolorosa genesi della sua famiglia. Al risveglio è costretta, sospinta dalle voci dei suoi, a scrivere ciò che da spettatrice ha vissuto durante la notte.
Le origini della saga famigliare sono individuate nella figura di Cesira, la nonna materna di Elisa, e la narrazione, pur non trascurando le figure dell’ascendenza paterna, si dipana seguendo la fanciullezza e la gioventù della madre della narratrice, Anna, alla quale non a caso è dedicato il romanzo.
Sbocciato quando era ancora una bambina e alimentato dalla fantasia e dalla speranza paterne, l’amore di Anna per il cugino Edoardo assume il predominio dell’intera esistenza della donna, riverberandosi in quelle dei famigliari a lei più prossimi. D’altro canto, Edoardo ricambia l’assoluta devozione di cui oggetto con un sentimento per lo più narcisistico, frutto del piacere di intravedere nel volto della cugina la sua stessa bellezza.
È una relazione tormentata dotata di una forza attrattiva che finisce con l’attirare altre disgraziate figure, predestinate forse dalla loro stessa indole, all’interno di un intreccio di sfibranti amori mai ricambiati e mai felici.
I protagonisti del grande romanzo famigliare di Elisa sono miserevoli, succubi l’uno dell’altro e abbagliati dal potere che bellezza e ricchezza, sia essa reale o presunta, esercitano. Qui sta la malia, in questo viluppo di venerazione e disprezzo, e accanto a essa, sua fonte e suo risvolto, la menzogna. La prima diventa dipendenza e prigione, mentre la seconda è inganno altrui e soprattutto di se stessi delineando l’impossibilità di un rapporto sano e sincero e tutti, senza esclusioni, ne escono sconfitti nei sentimenti prima ancora che dallo squallore della vita.
Ambientate in una città del sud d’Italia, le vicende si sottraggono a una collocazione temporale precisa benché, con snervante pignoleria, siano spesso raccontate con l’indicazione di un giorno particolare della settimana. D’altra parte, Elisa è per buona parte del romanzo un narratore onnisciente, a cui non è soltanto dato di conoscere e rivelare i pensieri più intimi dei personaggi, ma anche di essere una presenza costante e partecipe. Non passano inosservate, né si tenta di nascondere, le impressioni e le preferenze della voce narrante, che allude a colpe e debolezze, avanzando poi giustificazioni che le permettono di sorvolare e dimenticare le ombre più scure dei suoi personaggi.
Sulla scorta di Freud, infatti, i genitori e tutti gli avi di Elisa diventano creature di sua invenzione, fantasmi miticizzati dall’aura splendente dell’infanzia, dell’illusione e della menzogna. Lo sguardo di Elisa, dunque, non può che essere iniquo perché inserito nelle dinamiche famigliari a cui appartiene in prima persona e oscilla, inevitabilmente, tra compassione e crudeltà.
La presenza di Elisa, ingombrante quando non rinuncia a sottolineare il proprio ruolo di narratore, è fondamentale per sostenere il complicato equilibrio tra realismo e fantasia su cui l’intera storia si regge. Elisa potrebbe facilmente apparire una giovane alienata che scrive annebbiata dalla follia; la stessa follia, in fondo, dalla quale parrebbe essersi liberata al punto da poterne fornire un dettagliato resoconto.

I miei lettori mi perdoneranno se li intrattengo su simili fanciullaggini: essi devono comprendere che una storia come una pianta, avanti d’essere un albero frondoso, e carico di frutti è uno stelo acerbo la cui natura si può riconoscere appena appena dalla forma delle foglioline insapori ed esigue. Perciò avanti che la mia storia maturi, vogliano essi adattarsi al sapore insipido, comune e amarognolo della sua età acerba.

A ciascuno dei personaggi, anche ai secondari, è dedicato lo spazio narrativo necessario a elevarlo al di sopra delle sue stesse meschinità e sciocche illusioni, a eleggerlo eroe della propria storia. Al lettore, che come la stessa Elisa non può ignorare le millanterie e le miserie, non resta che parteggiare e sperare, invano, che la menzogna possa mutare in verità.
Nello stile di un grande romanzo storico o epico-cavalleresco, Morante imbastisce un racconto lungo e impegnativo, che costringe il lettore a racimolare tutta la sua pazienza per superare il magnificato grigiume dell’ambientazione e l’aridità dei sentimenti dei protagonisti che, impegnati nella venerazione di un idolo, sono incapaci di scorgere e accogliere l’affetto o il barlume della serenità, se non della felicità.
Menzogna e sortilegio solleva il velo che magnifica le figure parentali e nella fantasia rende illustri le proprie origini, ma la menzogna non può essere eliminata del tutto e continua a esercitare il proprio sortilegio.
Romanzo complesso nella struttura come nelle tematiche e nei modelli, Menzogna e sortilegio divide il mio giudizio tra l’ammirazione per l’articolazione e le diramazioni della storia e la difficoltà di una lettura che ha stentato a trovare un ritmo e a calamitare la mia attenzione.




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