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Recensione: LA PAGA DEL SABATO di Beppe Fenoglio


Titolo: La paga del sabato
Autorə: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Pagine: 136
Prezzo: cartaceo - € 10,00; ebook - € 6,99

Trama
Ettore è il tipico disadattato uscito dalla guerra partigiana scontroso e insofferente, che non riesce a rassegnarsi alla modesta e tranquilla routine di un'esistenza qualunque, senza brividi, senza slanci in avanti. Per questo decide di darsi ad affari loschi ma molto redditizi, che lo facciano sentire di nuovo vivo per davvero, sfruttando la sua grinta di «duro», di piccolo Humphrey Bogart di paese. Ma quando, costretto a metter su famiglia, si ritira e si dedica a un lavoro onesto, uno stupido incidente volge l'epilogo in tragedia. "La paga del sabato" è un distillato in purezza di scrittura fenogliana, in cui si concentrano densissime tutte le sue caratteristiche più peculiari: il piglio svelto e concreto, il modo di raccontare per scorci vigorosi, la capacità di delineare in poche battute personaggi memorabili. Con una Nota e una bibliografia essenziale di Ernesto Ferrero, la cronologia della vita e delle opere.

***

La guerra è finita, ma per Ettore e i giovani che hanno combattuto non esiste la pace. Sembra impossibile reinserirsi nei meccanismi della società regolare, trovare un lavoro, contribuire alla vita famigliare, costruire un futuro.
Ettore appare dominato dalla frustrazione e dalla rabbia, sentimenti che non può evitare di riversare sulla madre. C’è in Ettore l’insoddisfazione per un passato, quello della Resistenza, dal quale non ha ottenuto riconoscimenti e che gli è difficile dimenticare.
Quando gli si presenta l’opportunità di un lavoro avventuroso per quanto disonesto, Ettore accetta.

perché potessimo continuare a vivere visto che non eravamo morti in guerra.

Romanzo breve e densissimo, La paga del sabato rivela tutta la capacità introspettiva di Fenoglio. Ettore appare scolpito nella roccia: spigoloso, duro con sé stesso prima che con gli altri e fragile, umano.
Il sentimento frustrato e nostalgico della Resistenza sono replicati nei personaggi di Bianco e Palmo, funzionali anche nell’evidenziare l’evoluzione psicologica di Ettore. L’opposizione a Palmo, per esempio, fa emergere la comune disperazione e le differenti aspirazioni.
Palmo è davvero un disadattato, incapace di immaginare la propria vita senza l’ombra del banditismo. Ettore, invece, è un individuo a sé, ambizioso e capace di recuperare la più importante lezione appresa in guerra.

c’è solo più un discorso che voglio ascoltare, e questo discorso me lo faccio io, c’è solo una lezione che voglio tenere a mente, e mi odio se penso che l’avevo già imparata bene e poi col tempo me la sono dimenticata. Non finire sottoterra. Per nessun motivo. Non finire sottoterra. Né in galera.

Quasi scusandosene, Fenoglio attribuì La paga del sabato a una sbandata neoverista: più tardi, i critici riconobbero le influenze di Steinbeck e Hemingway. A mio avviso, però, nel romanzo si riconosce l’accetta di Fenoglio: una penna netta e precisa, ma anche crudele e spietata nell’onestà con cui restituisce la vita. Al punto che talvolta sembra di leggere episodi reali e molto poco romanzati.
Ho trovato interessante il passaggio dalla terza alla prima persona singolare nel capitolo in cui Ettore vive la sua prima avventura postbellica. Una scelta che forse non sarebbe sopravvissuta se Vittorini o altri avessero deciso di pubblicare il romanzo.
C’è un ulteriore spunto offerto dall’analisi dei personaggi incontrati da Ettore: il ricco fascista e l’ex banchiere ebreo. Lo sguardo che li descrive e ne racconta la paura è pietoso con entrambi. D’altra parte, Ettore si dimostra capace di riguardi per il primo, benché rappresenti l’odiato nemico e sia una sua vittima, e duro, quasi spietato con il secondo.
È difficile imbattersi nella Paga del sabato e ancora più raro è leggerla. Ti consiglio di farlo.
Ho letto più volte I ventitré giorni della città di Alba e Una questione privata: senza motivo ero meno attratta da La paga del sabato. Mi è piaciuto perché ho trovato una dispensa fenogliana, con le tematiche e lo stile, forse ancora acerbi, comuni alle opere più note.
Tengo a soffermarmi, in quest’ultima parte, sull’edizione in mio possesso, la già citata ET Scrittori con l’introduzione di Baricco e la Nota di Ferrero. Ho trovato spiacevole e riduttiva la trama in quarta di copertina: se è comprensibile la scelta di raccontare l’intero romanzo, meno condivisibile è la definizione di Ettore come “tipico disadattato uscito dalla guerra partigiana”.
Di contro sono molto apprezzabili le note di Ferrero e la cronologia della vita e delle opere, che fanno trasparire o per lo meno ipotizzare tratti autobiografici anche nel romanzo letto.



 

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