Recensione Le ultime luci della sera di Elisabetta R. Brizzi

9/02/2015

    Titolo: Le ultime luci della sera
    Autore: Elisabetta R. Brizzi 
Editore: Edizioni Eve
Data di pubblicazione: 16 giugno 2015
Pagine: 218

Sinossi: Due gemelli, Gabriele e Giulia, vivono un inferno quotidiano fatto di incomprensioni e violenze domestiche. All’apparenza nessuno si accorge di nulla ma, quando Giulia si innamora, finalmente rivela al fidanzato tutte le sue angosce. Un insospettabile segreto unirà i fratelli ancora di più, quando Gabriele svelerà una ad una le mancanze del padre, dando un duro colpo anche all’omertà della madre. Una storia che svela come i disagi mai affrontati dei genitori ricadano spesso sui figli, finché questi ultimi non decidono di alzare la testa e, con il giusto sostegno psicologico, affrontano i propri fantasmi per tornare a nuova vita, facendo pace con se stessi e il proprio passato. 

Recensione: 
Questo libro mi ha lasciato addosso sensazioni contrastanti, perché se sotto certi aspetti mi è piaciuto molto, ce ne sono altri che non mi hanno permesso di apprezzarlo del tutto.

Comincio parlando dei personaggi, che hanno una buona caratterizzazione, anche se alcune delle cose che scelgono di fare a volte spiazza un po’.
Io non sono una psicologa, quindi non mi permetto di giudicare Elia: il padre di famiglia maniaco del controllo e fanatico religioso. Un uomo che da piccolo ha subito dei traumi che riporta sui  figli emulando un padre che odiava, ma del quale desiderava l’approvazione. Suo padre è al centro della sua vita, nonostante sia morto da molti anni. Elia non riesce a permettere ai suoi figli di vivere liberamente e si ritrova a comportarsi esattamente come suo padre fece con lui (forse inconsciamente, forse perché è l’unico modo di essere padre che conosce) costringendo i figli a una vita fatta di regole e di preghiere. È un uomo rispettato in società, ma violento a casa e incapace di empatia.

Sua moglie Giovanna risulta difficile da inquadrare, perché a volte cerca di difendere i gemelli dall’ira cieca del padre, ma in effetti fa molto poco e chiude gli occhi o se ne va la maggior parte delle volte. Mantiene la casa sempre lustra e ordinata, prepara con puntualità i pasti e soddisfa le richieste del marito, ma sembra farlo con l’orgoglio della brava donna di casa, più che con paura. Fino alla fine del libro mi sono chiesta quanto grande sia la colpa di chi vede e non dice niente, e alla fine credo di essere d'accordo con la visione che dà l'autrice, che scoprirete se leggerete il libro.

Giulia è forse il personaggio meglio riuscito: esprime se stessa attraverso il canto e passa il resto del tempo in silenzio, a scrivere nei suoi diari, da sola. Il suo rapporto col gemello, Gabriele,  è molto profondo e puro. I due si sostengono l’uno con l’altra per sopravvivere all’inferno militare nel quale sono costretti a vivere; cercano di evadere, suonano in un gruppo assieme ai loro compagni di classe, del quale Giulia è la dotatissima cantante e Gabriele suona la chitarra (a questo proposito, mi chiedo come sia possibile che lui abbia una chitarra da portarsi in giro quando va a studiare matematica da un amico, o come abbia potuto imparare nonostante le restrizioni in famiglia).

C'è poi il personaggio del professore di italiano, che tiene ai ragazzi e che fa il possibile per capire cosa si nasconda dietro il loro comportamento.

Le scene più violente sono rese con delicatezza e sono quelle più curate, nelle quali lo stile dell’autrice risulta valorizzato.
Purtroppo il libro presenta qualche errore di troppo, secondo me. Una cosa che ho riscontrato in alcuni autopubblicati (non sempre e non perché sia giusto così, ma perché nessuno controlla, quindi suppongo che sia un rischio che si corre quando si sceglie di leggerne uno), ma che quando c’è l’appoggio di una casa editrice invece non mi aspetto.
L’autrice scrive solo frasi molto brevi e lineari e la cosa, se in alcuni punti può andare bene, non sempre ha un bell’effetto, metto qui sotto un estratto breve:

Gabriele si accarezzò le braccia infreddolito. Lasciò il letto di malavoglia e indossò gli abiti da lavoro. Si avvolse una sciarpa intorno al collo. Uscì sul corridoio. Il profumo del caffè era netto e forte. Senza fare rumore, controllò sua sorella immersa in un placido sonno e sgattaiolò in bagno. Aprì il rubinetto. Le tubature, vecchie di anni, produssero un lamento, quasi un grido soffocato. Aspettò di sentire l’acqua tiepida e si lavò il viso alla meglio. Raggiunse la cucina. Con prontezza, sua madre gli porse una tazza di latte e una fetta di torta alle mele.
«Fa in fretta.»

Gabriele mangiò tutto in pochi morsi e corse in giardino dal padre. Nel cielo permanevano ancora brandelli di buio.

Un altro aspetto positivo consiste nella cura dell'ambientazione: Latina. Si capisce che l'autrice la conosce profondamente.

In conclusione, il libro secondo me potrebbe migliorare molto anche solo togliendo gli errori e le forme colloquiali (non dai dialoghi, quelle sono volute e danno spessore ai personaggi, comprese le forme dialettali che usa Elia).  
Il tema è interessante e difficile, ma è trattato abbastanza bene, anche se il finale, del quale non intendo parlare per evitare spoiler, risulta un po' hollywoodiano.



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5 commenti

  1. Hmm. Mi permetti di non essere d'accordo al 100%? :-)
    Io l'ho letto e tutti questi errori non li ho nemmeno notati: per carità, ce ne saranno pure stati (al giorno d'oggi se ne trovano anche nei best seller!), ma non al punto tale da rovinarmi il piacere della lettura.
    E il finale non è poi così lieto, in quanto, a ben vedere, ci sono piccole questioni che sono ancora in sospeso (non posso essere troppo dettagliato per non rivelare troppo)... dodici anni, dopotutto, non sono così tanti... e certi ricordi, insomma, non possono essere cancellati.
    Personalmente non posso che fare i complimenti all'autrice: ha fatto una scelta coraggiosa, che dimostra sicurezza e urgenza espressiva. Addentrarsi in questo modo nei meandri di una psiche contorta e parlare di certi temi riuscendo a mantenere la storia avvincente, piena di ritmo, equilibrata e con personaggi credibili non è da tutti. Per quanto mi riguarda, la terrò d'occhio!
    P.S. Guarda che non mi pare proprio che sia scritto da qualche parte che è Gabriele a portarsi in giro la chitarra, eh! :-)

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    1. Ciao Bruno, accetto la tua opinione, ma io di errori ne ho trovati. Non è questo il luogo per elencarli, anche per rispetto nei confronti dell'autrice. Nel caso in cui lei volesse i dettagli, o semplicemente avesse qualcosa da dire, può contattarmi via mail: io sono dispostissima a rispondere.
      Io non ho detto che il finale è troppo lieto, ho detto che è un po' 'da film', è diverso.
      L'autrice secondo me ha bisogno di maturare ancora, stilisticamente, ma anch'io riconosco il suo valore nel dare un'instrospezione psicologica credibile ai personaggi. Anch'io la terrò d'occhio.
      P.S.: immagino anch'io che non la portasse lui, ma non avere una chitarra a casa non aiuta a suonarla decentemente in un gruppo (e io suono la chitarra, so cosa vuol dire imparare e provare).

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  2. Mi associo a Bruno. È un’autrice che seguo da tempo e su alcune cose mi dissocio. Sarei davvero curiosa di vedere questi errori anche in privato, perché non ne ho scorti (sebbene possano esserci dei refusi … cosa normale nei testi).
    Comprendo la difficoltà ad inquadrare il personaggio di Giovanna. Non sono una psicologa neanche io, ma personalmente lo trovo uno dei personaggi più riusciti nei pochi tratti che ne da. Avrei voluto avesse più spazio proprio per la sua complessità, ma ci saranno sicuramente motivazioni di equilibri e struttura. Ogni personaggio ha una suo “spazio” nell’economia del romanzo per cui non mi addentro. Giovanna è debole, è molto più simile ad Elia di quanto non si voglia ammettere. Potrebbe essere definita il suo “controcanto”. Anche il suo “istinto materno” è deviato e deviante. Non mi dilungo perché non voglio fare dello spoiler.
    Sul fatto della fantomatica chitarra, Gabriele non ne ha mai avuta una. Come hai scritto giustamente tu non ne avrebbe potuta tenere una e non avrebbe potuto essere così “libero” di esprimersi in quella casa. Per questo non trovo passi dove questo personaggio se ne va tranquillo con la chitarra sulle spalle a suonare con i compagni del gruppo!
    Io suono il pianoforte. Non sarà la chitarra, ma è pur sempre uno strumento. Sono riuscita a far suonare due mie cuginette in un pomeriggio che sono venute da me! A casa non hanno strumenti e l’unica “lezione” ricevuta è stata la mia di poche ore. È stato un pezzo semplicissimo, lineare naturalmente, ma il risultato è stato farle sedere su quello sgabello e suonare.
    Per dire che sicuramente per diventare bravissimo e raggiungere certi livelli ci vuole tempo ed innumerevoli ore di esercitazione, ma si può suonare decentemente se si ha possibilità di esercitarsi anche a casa altrui (l’autrice non lo dice ma presuppongo che Gabriele sia stato appoggiato dagli amici in questo). Credo che nei romanzi in generale delle cose non vengano spiegate e siano date ad intendere, per fortuna. Per mio gusto personale trovo noiosi i libri dove viene descritto persino a che altezza è attaccato un quadro in una parete!
    Sul finale io sono tendenzialmente più apocalittica, ma comprendo la scelta dell’autrice nel dargli una “nota di speranza”. Anche lì ci sarebbe da discuterne, ma dovrei fare lo spoiler e mi dilungherei. Idem per il finale definito addirittura “hollywoodiano”, che non analizzo per non rovinare la sorpresa, ma questa valutazione mi sembra un pochino esagerata. Sebbene credo che tu in questo senso abbia scorto una particolarità che noto svilupparsi in questa autrice: il rendere le scene sulla carta come fossero filmate. Sta portando sempre di più la “cinepresa” dentro la scrittura. Le scene le vedi, non le leggi soltanto. Per il resto, attendo con ansia altre uscite perché credo che meriti davvero. Se poi calcoliamo che è il primo romanzo uscito!?

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  3. L'eventuale confronto privato è con l'autrice. Nessuno è qui a giudicare, è stato espresso un parere, per altro in maniera garbata e va rispettato. È inutile fare polemica.

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    1. Lungi da me il fare polemica. Anche io ho espresso un parere. Ho detto la mia su alcune questioni mosse nella recensione. Ci sta che un personaggio possa piacere, un altro no, che uno stile piaccia oppure no. Sul fatto della musica, suonando mi sono sentita in dovere di dire che non è così assurdo riuscire ad imparare seppur limitatamente!
      Sugli errori era una curiosità mia (per capire se ho avuto delle sviste...), ma se non si può e il contatto è solo con l'autrice lo rispetto.
      Anche se...sincerità per sincerità... dire che ci sono errori e anche tanti...e fare l'appunto sulla casa editrice (che conosco poco essendo "giovane") non è stato molto "carino". Nel senso...se non è carino dire certe cose, che non si dicano proprio perché messa così si è dato "velatamente e garbatamente" dell'incompetente alla casa editrice e un pochino (passatemi il termine esagerato) "dell'ignorante" alla scrittrice/scrittore di turno. Magari si tratta solo di refusi...o di sviste...ma per chi legge si manda un messaggio non bellino... Non è polemica la mia, chiarisco. Per il resto ci sta tutto. Nel senso che le critiche costruttive sono sempre ben accolte e, come accade in ogni ambito, ci sono gusti e gusti. Ad esempio, io non sopporto alcuni autori blasonati o osannati da tutti perché non rientrano nei miei gusti... mentre magari apprezzo un autore poco conosciuto o esordiente per uno stile particolare o un modo di raccontare. Peace e love! :)

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