recensione: DAI TUOI OCCHI SOLAMENTE di Francesca Diotallevi

12/06/2019

Io, Vivian, sono quella che nessuno nota, quella che nessuno vede. Io li vedo, invece. 

Titolo: Dai tuoi occhi solamente
Autore: Francesca Diotallevi
Editore: Neri Pozza - 4 ottobre 2018
Pagine:207
Prezzo: cartaceo - € 16,50; ebook - € 9,99

Trama
New York, 1954. Capelli corti, abito dal colletto tondo, prime rughe attorno agli occhi, ventotto anni, Vivian ha risposto a un'inserzione sul New York Herald Tribune. Cercavano una tata. Un lavoro giusto per lei. Le famiglie l'hanno sempre incuriosita. La affascina entrare nel loro mondo, diventare spettatrice dei loro piccoli drammi senza esserne partecipe, e osservare la recita, la pantomima della vita da cui soltanto i bambini le sembrano immuni. La giovane madre che l'accoglie ha labbra perfettamente disegnate con il rossetto, capelli acconciati in onde rigide, golfini impeccabili. Dietro il suo perfetto abbigliamento, però, Vivian sa scorgere la crepa, il muto appello di una donna che sembra chiedere aiuto in silenzio. Del resto, questo è il suo lavoro: prendersi cura della vita degli altri. L'accordo arriva in fretta. A lei basta poco: una stanza dove raccogliere le sue cose; una città, come New York, dove potere osservare le vite incrociarsi sulle strade, scrutare mani che si stringono, la rabbia di un gesto, la tenerezza in uno sguardo, l'insopportabile caducità di ogni istante. Ed essere, nello stesso tempo, invisibile, sola nel mare aperto della grande città, a spingere una carrozzina o a chinarsi per raddrizzare l'orlo della calza di un bambino. Scrutare i gesti altrui e guardarsi bene dall'esserne toccata: questa è, d'altronde, la sua esistenza da tempo. Troppe, infatti, sono le ferite che le sono state inferte nell'infanzia, quando la rabbia di un gesto - di sua madre, Marie, o di suo fratello Karl, animati dalla medesima ira nei confronti del mondo - si è rivolta contro di lei. Sola nella camera che le è stata assegnata, Vivian scosta le tende dalla finestra, lancia un'occhiata al cortiletto ombroso e spoglio nel sole morente di fine giornata, estrae dalla borsa la sua Rolleiflex e cerca la giusta inquadratura per catturare il proprio riflesso che appare contro l'oscurità del vetro. È il solo gesto con cui Vivian Maier trova il suo vero posto nel mondo: stringere al ventre la sua macchina fotografica e rubare gli istanti, i luoghi e le storie che le persone non sanno di vivere.


***

È il 1954 quando Vivian prende servizio dai Warren. Frank è uno scrittore di successo, Clelia è una donna insoddisfatta e infelice e con un terzo figlio in arrivo, le stranezze della bambinaia appaiono trascurabili. Vivian, infatti, ha preteso un chiavistello per la propria stanza e porta sempre con sé una Rolleiflex.
Mentre i bambini sono felici di seguirla nelle esplorazioni della città e le si affezionano, il signor Warren ne è affascinato: è convinto che tra loro ci sia un’affinità, ma per quanto cerchi di avvicinarla è costretto a fare i conti con il distacco di Vivian.
Dopo essersi sottratta ai legami familiari, si è promessa di non instaurarne e sentirsi (finalmente) osservata e scoperta risveglia in lei un atavico istinto alla fuga.
Calati all’interno della narrazione, quasi fossero divagazioni mentali della protagonista, numerosi flashback ricostruiscono un’infanzia inquieta, segnata da sradicamenti affettivi e geografici e da importanti figure femminili.
È la madre, una donna fatta di spigoli e fratture mai ricomposte, che Vivian rivede guardando il proprio riflesso e che sente dentro di sé quando ascolta il proprio dolore. Marie l’ha sottratta a ogni appartenenza, trascinandola tra Stati Uniti e Francia, e allontanandola da Jeanne, la prima ad aver scorto in lei il talento e averle rivelato la magia che può fermare per sempre un momento. 

 La ricerca era più urgente di qualsiasi altra cosa, della morte stessa.
Si rimetteva in cammino, lo sguardo intento a scandagliare quel mondo bizzarro che la circondava,
che sentiva suo dovere spiegare, spinta dal bisogno di confrontarsi ripetutamente con quello che la vita fa o può fare alle persone, nell’impresa più ardua:
arrivare a decifrare se stessa, raccontarsi attraverso ciò che i suoi occhi vedevano. Perdonarsi, forse.

Dai tuoi occhi solamente si ancora agli eventi noti della vita di Vivian Maier, ricostruiti attraverso rare testimonianze e faticose ricerche, ma Diotallevi conduce la narrazione oltre i dati biografici certi per raccontare un’interiorità tormentata.
Proprio perché il romanzo si ispira a una persona realmente esistita e a un’artista solo recentemente emersa all’attenzione pubblica, una nota finale dell’autrice ricorda che molto è frutto della sua fantasia e di un tentativo di interpretare, di comprendere quei rullini non sviluppati.
Addentrandosi nelle ombre e negli incubi della protagonista, Diotallevi fa del suo romanzo un’indagine sul dolore e sulla sofferenza che si intrecciano e nascono dalla ricerca di se stessi.

Dai tuoi occhi solamente è un ritratto tridimensionale estremamente vicino all’artista e alla donna che fu Vivian Maier.

Pagina dopo pagina, ho avuto la sensazione che Diotallevi sia riuscita ad avvicinarsi a Vivian Maier ed è per questo motivo che mi sono anche chiesta se la bambinaia avrebbe voluto essere rivelata al mondo. Sull’altro piatto della bilancia, lo potrete riconoscere se avete avuto o avrete occasione di vedere le sue fotografie, la limpidezza dello sguardo dell’artista.

La finzione letteraria è occasione, per l’autrice, di condurre una riflessione sulla scrittura. D’altra parte il confronto tra Frank Warren e Vivian Maier, forse nato dalla necessità dell’autrice di trovare un punto di contatto con la fotografia, si sviluppa intorno alla comune lettura di Bartleby lo scrivano di Melville che, naturalmente, è molto più di un riferimento letterario o una citazione.
Diotallevi si conferma nell’Olimpo delle mie certezze letterarie e se un tentennamento si può cogliere in questa ultima opera, mi sembra che si leghi all’esistenza effimera e sfuggente della sua protagonista. D’altra parte, sento di poter riconoscere più di un merito a questo romanzo: non ultimo, accanto alle molteplici letture, quello di avermi fatto rivivere le emozioni dell’esposizione Vivian Maier – In her own hands.



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