Intervista #2: Conosciamo meglio Francesca Verginella

3/27/2013

Buonasera cari lettori,
vi abbiamo già presentato quest'autrice attraverso la recensione a confronto su uno dei suoi testi "Hope, Alaska", sto parlando di Francesca Verginella. E' proprio in seguito alla lettura di questo libro che mi è venuta la curiosità di conoscerla meglio e abbiamo fatto una chiacchierata da cui è nata l'intervista che segue. In parte è già stata pubblicata sul mio blog, dico in parte perchè alcune domande, e risposte ovvio ^_^, le potete trovare solo qui. Visto che parliamo di autori italiani agli esordi, ho voluto chiedere a Francesca Verginella cosa ne pensa del mondo editoriale e qual è la sua esperienza. Basta introduzioni e passiamo all'intervista. 

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1  Visitando il tuo sito ho visto che sei una persona poliedrica: scrittura, artigianato, cucito, cucina; come riesci a coniugare tutto?

Sono tutti interessi che sono nati in momenti diversi della mia vita. Quello che chiamo artigianato, quando a 6 anni pasticciavo con colori, dash, perline, ecc. mia madre lo chiamava far cianfrusaglie. In realtà mi piaceva fare regalini ai miei amici per natale o i compleanni, una scatolina con le iniziali, una collana, degli orecchini, una statuina in tema. Oppure un enorme torrone dipinto su un pezzo di marmo per il mio amico che lavorava nella fabbrica di torroni e che di torroni non ne poteva più. Poi ho scoperto la cucina, grande passione di mia madre, che con amore me l'ha insegnata. Oggi, come mamma e moglie, ho la possibilità mettere in pratica quotidianamente quello che prima era solo un momento di creatività culinaria. Attorno ai 15 anni ho imparato a cucire, inizialmente più per necessità che per piacere: dovevo sempre accorciare l'orlo dei miei jeans. Poi però, visto che il sangue non mente (mia nonna è sarta), mi è nata la passione ed ho finito, molti anni dopo, con il cucire il mio abito da sposa. La scrittura l'ho amata da subito, ovviamente prima solo da lettrice, e mi sono sempre piaciuti generi letterari molto diversi tra loro. A 19 anni ho scoperto di essere capace anche di scrivere libri: è stata una sorpresa, ma anche un amore a prima vista.   


     La tua passione più forte è la scrittura? Cosa significa per te scrivere?

La scrittura è certamente la mia passione più grande. Quando ho incontrato la scrittura ero giovane e, inizialmente, non sapevo che quello che avevo iniziato sarebbe diventata una fantastica avventura che continua ancora oggi. Per me è una grande valvola di sfogo, un luogo in cui incanalare tutta la mia fantasia ed energia che nella vita reale a volte non riesco ad esprimere totalmente. Certo, quando ho iniziato pensavo che tutto quello che scrivevo sarebbe poi rimasto nel mio cassetto. Al massimo avevo immaginato che uno o due amici lo avrebbero letto. Avere pubblicato i miei libri, oggi, mi rende molto orgogliosa e motivata a proseguire con questa mia passione.



 I tuoi libri appartengono a generi diversi, quale preferisci?


Mi stai facendo una domanda alla quale non è facile rispondere. "Luna", il fantasy, è stato il mio primo libro. Scritto a penna sui quaderni. Sudato e travagliato, ma allo stesso tempo genuino e istintivo. L'ho scritto in un momento particolare della mia vita e non può non occupare uno spazio particolare nel mio cuore. "Hope, Alaska" è stato il secondo libro che ho scritto (il primo scritto direttamente al computer). In un certo senso rappresenta una sfida con me stessa: dopo averne scritto uno dovevo dimostrare a me stessa che sapevo scrivere anche altro. Inizialmente non ne ero così convinta. La storia raccontata ne "Le età di mezzo" riprende episodi reali della mia vita e di quella di mia madre. E' un libro che qualcuno ha giudicato troppo sentimentale, ma che per me è la sintesi del rapporto d'amore... l'amore con la A maiuscola. I racconti brevi sono schegge di folli pensieri che inizialmente mi svegliavano la notte. A poco a poco ho riordinato quelle schegge in piccoli scritti ai quali sono molto legata. Da questi poi sono nati "Il Cerchio" e "Grigio", duplice risultato di un esperimento narrativo unitario. Mi chiedi dunque di scegliere  chi amo di più tra i miei figli? Non ci riesco!


In “Hope, Alaska” la narrazione è ben padroneggiata, la mia curiosità riguarda l’ispirazione di questa storia, da dov’è nata? 

Non ero ancora convinta di essere una vera scrittrice e temevo sinceramente di aver esaurito la mia vena artistica con "Luna". Poi ho letto di un concorso letterario, bisognava scrivere un romanzo rosa il cui limite era di circa 130 pagine.  Mi sembra fosse organizzato addirittura dalla "Harmony" (sto parlando di cose del secolo scorso). Così ci ho provato, inizialmente con poco entusiasmo perchè non ero una lettrice di questo genere letterario. Invece mi sono sorpresa ad appassionarmi alla storia d'amore che avevo inizialmente delineato per sommi capi. La svolta arrivò quando mi venne l'idea di rivitalizzare un po' il clichè alla "Harmony" con una bella vendetta: volevo che la protagonista non fosse solo pronta alla rivalsa per un torto subito, ma anche che provasse un po' di gusto ad essere "cattiva" con chi se lo meritava. Da quel momento il libro si è scritto praticamente da solo e ho dovuto faticare per farlo rientrare nelle 130 pagine. Il risultato è stato quello che hai visto, abbastanza lontano dallo stile Harmony.

E la scelta di Hope come ambientazione?

Volevo dare alla storia una connotazione internazionale. Gli Stati Uniti sono stati subito la mia prima scelta perchè sono da sempre visti dagli italiani come un luogo in cui tutto può succedere, se uno davvero crede in quello che fa. Non volevo però la solita ambientazione di una megalopoli tipo New York (quella che vedevo in molti film e telefilm targati U.S.A.). Così ho scelto Boston (che piccola non è, ma è sicuramente meno sfruttata come scena di un libro) e poi ho privilegiato l'Alaska. Luogo che pochissimi conoscono bene (neppure io, lo ammetto) e che perciò potevo rivestire di mistero. Prima ho scelto il nome del paese , Hope (speranza) perchè credo che nel libro tutti i personaggi sono guidati dalla speranza di vedere i propri sogni (anche d'amore) realizzati. Poi ho scoperto che esiste davvero un paese con questo nome (che fortuna!). A cambiare poi la vita della protagonista è stata la natura selvaggia e la bufera di neve: una volta che sei bloccata in un luogo ristretto e senza alcuna possibilità di comunicare con l'esterno non puoi far altro che fare i conti con te stessa.

In questo libro sono ben dosati: passione, amore, rabbia e una rivincita tutta al   femminile, quanto di Francesca c’è in Sara?

Molto. Anche io cerco nei legami affettivi (famiglia, marito, amici) una sorta di coperta in cui abbozzolarmi per sentirmi tranquilla e sicura. Per mia fortuna mi sono fidata di persone migliori di quelle che ha incontrato Sara: la poverina si è ritrovata la coperta stretta al collo. Fortunatamente non ho mai dovuto vendicarmi di qualcuno. Se qualcuno non si comporta bene nei miei confronti tendo a lasciar perdere anche perchè, fino ad ora, nessuno è riuscito a toccare profondamente i miei affetti più cari. Quindi non sono vendicativa, ma solo perchè mi è mancata l'opportunità. Credo però che le persone che fanno del male agli altri meritino di subire una punizione: almeno per essere messe in ridicolo ed espiare così le loro colpe, tra le risate di tutti. Insomma, Sara è riuscita ad esprimere quella sana cattiveria che io ho dentro di me, ma che non ho mai (ancora) avuto occasione di manifestare.

Qual è la tua esperienza di autrice italiana? Vuoi raccontarci la tua strada verso l’esordio?

Come ti ho già detto, ho cominciato a scrivere quasi per caso molti anni fa (quasi 19, per la precisione) e non avevo particolari ambizioni di pubblicazione. Anzi, per qualche anno non ci ho pensato proprio. Anche la scrittura era discontinua, nel senso che, anche se non ho mai impiegato più di qualche mese per scrivere i miei romanzi (5/6 per "Luna", 2/3 al massimo per gli altri), tra un libro e l'altro passavano magari uno o due anni. Sono stata spinta a cercare i primi contatti con il mondo dell'editoria da quello che sarebbe poi diventato il mio attuale marito. Ho così trascritto "Luna" con la macchina da scrivere prima e con il computer poi ed ho spedito il tutto a qualche casa editrice. Ai tempi le uniche risposte che ricevetti erano del tipo "Spiacenti ma non si accettano manoscritti non proposti da agenzia specializzata." oppure (dalle case editrici minori) "Libro molto bello. Saremmo felici di pubblicarlo previo versamento di X.XXX lire/€". Cercai allora di contattare alcune agenzie letterarie. Risultato: molti complimenti ma continue richieste di denaro (che tra l'altro non avevo). Secondo me però dover pagare per pubblicare o farsi rappresentare significa probabilmente che la casa editrice/agenzia non ritiene di investire su di te. Così ho semplicemente rimesso le mie opere nel cassetto per un'altra decina d'anni. L'esordio così è stato rimandato a data da destinarsi. Alla fine però le insistenze di mio marito (persona tenace), la scoperta di Smashwords e degli ebook mi hanno spinta a fare il grande passo e ad auto-pubblicare alcune delle mie opere. Non ti nascondo che mi piacerebbe esordire anche su carta, così un paio di mesi fa ho inviato qualcuno dei miei libri ad alcune case editrici NO-EAP e ad alcune major di cui ho sentito che non richiedono più la presentazione da parte di un'agenzia. Tra 5/6 mesi vedremo se qualcuno riterrà di puntare su di me oppure no. Nel frattempo però, anche grazie al fatto che i miei bambini stanno crescendo, ho trovato qualche piccolo spazio per riprendere a lavorare su alcune opere che avevo lasciato in sospeso e ad altre nuove. Proprio in questi giorni ho pubblicato su Smashwords un libro di ricette!

Cosa ne pensi del mercato editoriale italiano? si guarda troppo agli autori stranieri e poco alle firme italiane?

Come avrai capito dalla risposta precedente, la mia visione del mercato editoriale italiano (soprattutto riferito alle major) non era delle migliori, anche perchè mi era capitato più volte di imbattermi in libri stranieri o italiani pubblicizzati come dei capolavori, delle novità assolute, il nuovo standard di questo o di quello, e così via e che, tolta la patina del marketing e magari una bella copertina, si sono rivelati dei libri normalissimi se non addirittura scritti in maniera approssimativa. Oggi ritengo che la situazione sia leggermente migliorata, anche se continuo a vedere che molti autori più che validi non vengono promossi a favore di altri forse non così meritevoli. Per quanto riguarda gli scrittori stranieri (soprattutto americani o inglesi), sembra effettivamente che gli editori si affidino ai loro scritti quasi ad occhi chiusi (pensa che ad un certo punto, per farmi notare, volevo presentarmi con uno pseudonimo: Scott O'Connell: maschio e straniero). Sono comunque fiduciosa che i grandi cambiamenti che sta subendo il mondo dell'editoria a seguito della diffusione di ebook, internet, ecc. possa portare ad un ulteriore miglioramento della situazione.

Ringraziamo Francesca Verginella per le sue risposte e per averci fatto conoscere qualcosa in più di lei. E voi cosa ne pensate? La conoscevate già come autrice?




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3 commenti

  1. bella intervista ..amo le persone poliedriche..ah come vorrei saper cucire,..è una cosa che desidero tantissimo.

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    1. grazie ^_^ e sì anche a me piacerebbe saper fare tante cose ma ... cucire non fa per me

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  2. ho letto due suoi scritti e presto ne leggerò un terzo :)

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