Buonasera cari lettori,
vi abbiamo già presentato quest'autrice attraverso la recensione a confronto su uno dei suoi testi "Hope, Alaska", sto parlando di Francesca Verginella. E' proprio in seguito alla lettura di questo libro che mi è venuta la curiosità di conoscerla meglio e abbiamo fatto una chiacchierata da cui è nata l'intervista che segue. In parte è già stata pubblicata sul mio blog, dico in parte perchè alcune domande, e risposte ovvio ^_^, le potete trovare solo qui. Visto che parliamo di autori italiani agli esordi, ho voluto chiedere a Francesca Verginella cosa ne pensa del mondo editoriale e qual è la sua esperienza. Basta introduzioni e passiamo all'intervista.
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1 Visitando
il tuo sito ho visto che sei una persona poliedrica: scrittura, artigianato,
cucito, cucina; come riesci a coniugare tutto?
Sono tutti interessi che sono nati in momenti
diversi della mia vita. Quello che chiamo artigianato, quando a 6 anni
pasticciavo con colori, dash, perline, ecc. mia madre lo chiamava far cianfrusaglie.
In realtà mi piaceva fare regalini ai miei amici per natale o i compleanni, una
scatolina con le iniziali, una collana, degli orecchini, una statuina in tema.
Oppure un enorme torrone dipinto su un pezzo di marmo per il mio amico che
lavorava nella fabbrica di torroni e che di torroni non ne poteva più. Poi ho
scoperto la cucina, grande passione di mia madre, che con amore me l'ha insegnata.
Oggi, come mamma e moglie, ho la possibilità mettere in pratica quotidianamente
quello che prima era solo un momento di creatività culinaria. Attorno ai 15
anni ho imparato a cucire, inizialmente più per necessità che per piacere: dovevo
sempre accorciare l'orlo dei miei jeans. Poi però, visto che il sangue non
mente (mia nonna è sarta), mi è nata la passione ed ho finito, molti anni dopo,
con il cucire il mio abito da sposa. La scrittura l'ho amata da subito,
ovviamente prima solo da lettrice, e mi sono sempre piaciuti generi letterari
molto diversi tra loro. A 19 anni ho scoperto di essere capace anche di
scrivere libri: è stata una sorpresa, ma anche un amore a prima vista.
La
tua passione più forte è la scrittura? Cosa significa per te scrivere?
La
scrittura è certamente la mia passione più grande. Quando ho incontrato la
scrittura ero giovane e, inizialmente, non sapevo che quello che avevo iniziato
sarebbe diventata una fantastica avventura che continua ancora oggi. Per me è
una grande valvola di sfogo, un luogo in cui incanalare tutta la mia fantasia
ed energia che nella vita reale a volte non riesco ad esprimere totalmente.
Certo, quando ho iniziato pensavo che tutto quello che scrivevo sarebbe poi
rimasto nel mio cassetto. Al massimo avevo immaginato che uno o due amici lo
avrebbero letto. Avere pubblicato i miei libri, oggi, mi rende molto orgogliosa
e motivata a proseguire con questa mia passione.
I
tuoi libri appartengono a generi diversi, quale preferisci?
Mi stai facendo una domanda alla quale non è
facile rispondere. "Luna", il fantasy, è stato il mio primo libro.
Scritto a penna sui quaderni. Sudato e travagliato, ma allo stesso tempo
genuino e istintivo. L'ho scritto in un momento particolare della mia vita e
non può non occupare uno spazio particolare nel mio cuore. "Hope,
Alaska" è stato il secondo libro che ho scritto (il primo scritto
direttamente al computer). In un certo senso rappresenta una sfida con me
stessa: dopo averne scritto uno dovevo dimostrare a me stessa che sapevo
scrivere anche altro. Inizialmente non ne ero così convinta. La storia
raccontata ne "Le età di mezzo" riprende episodi reali della mia vita
e di quella di mia madre. E' un libro che qualcuno ha giudicato troppo
sentimentale, ma che per me è la sintesi del rapporto d'amore... l'amore con la
A maiuscola. I racconti brevi sono schegge di folli pensieri che inizialmente
mi svegliavano la notte. A poco a poco ho riordinato quelle schegge in piccoli
scritti ai quali sono molto legata. Da questi poi sono nati "Il
Cerchio" e "Grigio", duplice risultato di un esperimento
narrativo unitario. Mi chiedi dunque di scegliere chi amo di più tra i miei figli? Non ci
riesco!
In
“Hope, Alaska” la narrazione è ben padroneggiata,
la mia curiosità riguarda l’ispirazione di questa storia, da dov’è nata?
Non ero ancora convinta di essere una vera
scrittrice e temevo sinceramente di aver esaurito la mia vena artistica con
"Luna". Poi ho letto di un concorso letterario, bisognava scrivere un
romanzo rosa il cui limite era di circa 130 pagine. Mi sembra fosse organizzato addirittura dalla
"Harmony" (sto parlando di cose del secolo scorso). Così ci ho
provato, inizialmente con poco entusiasmo perchè non ero una lettrice di questo
genere letterario. Invece mi sono sorpresa ad appassionarmi alla storia d'amore
che avevo inizialmente delineato per sommi capi. La svolta arrivò quando mi
venne l'idea di rivitalizzare un po' il clichè alla "Harmony" con una
bella vendetta: volevo che la protagonista non fosse solo pronta alla rivalsa
per un torto subito, ma anche che provasse un po' di gusto ad essere
"cattiva" con chi se lo meritava. Da quel momento il libro si è
scritto praticamente da solo e ho dovuto faticare per farlo rientrare nelle 130
pagine. Il risultato è stato quello che hai visto, abbastanza lontano dallo
stile Harmony.
E la
scelta di Hope come ambientazione?
Volevo dare alla storia una connotazione
internazionale. Gli Stati Uniti sono stati subito la mia prima scelta perchè sono
da sempre visti dagli italiani come un luogo in cui tutto può succedere, se uno
davvero crede in quello che fa. Non volevo però la solita ambientazione di una
megalopoli tipo New York (quella che vedevo in molti film e telefilm targati U.S.A.).
Così ho scelto Boston (che piccola non è, ma è sicuramente meno sfruttata come scena
di un libro) e poi ho privilegiato l'Alaska. Luogo che pochissimi conoscono
bene (neppure io, lo ammetto) e che perciò potevo rivestire di mistero. Prima
ho scelto il nome del paese , Hope (speranza) perchè credo che nel libro tutti
i personaggi sono guidati dalla speranza di vedere i propri sogni (anche
d'amore) realizzati. Poi ho scoperto che esiste davvero un paese con questo
nome (che fortuna!). A cambiare poi la vita della protagonista è stata la
natura selvaggia e la bufera di neve: una volta che sei bloccata in un luogo
ristretto e senza alcuna possibilità di comunicare con l'esterno non puoi far
altro che fare i conti con te stessa.
In questo libro sono ben
dosati: passione, amore, rabbia e una rivincita tutta al femminile, quanto di Francesca c’è in
Sara?
Molto. Anche io cerco nei legami affettivi
(famiglia, marito, amici) una sorta di coperta in cui abbozzolarmi per sentirmi
tranquilla e sicura. Per mia fortuna mi sono fidata di persone migliori di
quelle che ha incontrato Sara: la poverina si è ritrovata la coperta stretta al
collo. Fortunatamente non ho mai dovuto vendicarmi di qualcuno. Se qualcuno non
si comporta bene nei miei confronti tendo a lasciar perdere anche perchè, fino
ad ora, nessuno è riuscito a toccare profondamente i miei affetti più cari.
Quindi non sono vendicativa, ma solo perchè mi è mancata l'opportunità. Credo
però che le persone che fanno del male agli altri meritino di subire una
punizione: almeno per essere messe in ridicolo ed espiare così le loro colpe,
tra le risate di tutti. Insomma, Sara è riuscita ad esprimere quella sana
cattiveria che io ho dentro di me, ma che non ho mai (ancora) avuto occasione
di manifestare.
Come ti ho già detto, ho cominciato a scrivere
quasi per caso molti anni fa (quasi 19, per la precisione) e non avevo
particolari ambizioni di pubblicazione. Anzi, per qualche anno non ci ho
pensato proprio. Anche la scrittura era discontinua, nel senso che, anche se
non ho mai impiegato più di qualche mese per scrivere i miei romanzi (5/6 per
"Luna", 2/3 al massimo per gli altri), tra un libro e l'altro
passavano magari uno o due anni. Sono stata spinta a cercare i primi contatti
con il mondo dell'editoria da quello che sarebbe poi diventato il mio attuale
marito. Ho così trascritto "Luna" con la macchina da scrivere prima e
con il computer poi ed ho spedito il tutto a qualche casa editrice. Ai tempi le
uniche risposte che ricevetti erano del tipo "Spiacenti ma non si
accettano manoscritti non proposti da agenzia specializzata." oppure (dalle
case editrici minori) "Libro molto bello. Saremmo felici di pubblicarlo
previo versamento di X.XXX lire/€". Cercai allora di contattare alcune
agenzie letterarie. Risultato: molti complimenti ma continue richieste di
denaro (che tra l'altro non avevo). Secondo me però dover pagare per pubblicare
o farsi rappresentare significa probabilmente che la casa editrice/agenzia non
ritiene di investire su di te. Così ho semplicemente rimesso le mie opere nel
cassetto per un'altra decina d'anni. L'esordio così è stato rimandato a data da
destinarsi. Alla fine però le insistenze di mio marito (persona tenace), la
scoperta di Smashwords e degli ebook mi hanno spinta a fare il grande passo e
ad auto-pubblicare alcune delle mie opere. Non ti nascondo che mi piacerebbe
esordire anche su carta, così un paio di mesi fa ho inviato qualcuno dei miei
libri ad alcune case editrici NO-EAP e ad alcune major di cui ho sentito che
non richiedono più la presentazione da parte di un'agenzia. Tra 5/6 mesi
vedremo se qualcuno riterrà di puntare su di me oppure no. Nel frattempo però,
anche grazie al fatto che i miei bambini stanno crescendo, ho trovato qualche
piccolo spazio per riprendere a lavorare su alcune opere che avevo lasciato in
sospeso e ad altre nuove. Proprio in questi giorni ho pubblicato su Smashwords
un libro di ricette!
Cosa ne pensi del mercato editoriale italiano?
si guarda troppo agli autori stranieri e poco alle firme italiane?
Come avrai capito dalla risposta precedente,
la mia visione del mercato editoriale italiano (soprattutto riferito alle
major) non era delle migliori, anche perchè mi era capitato più volte di
imbattermi in libri stranieri o italiani pubblicizzati come dei capolavori, delle
novità assolute, il nuovo standard di questo o di quello, e così via e che,
tolta la patina del marketing e magari una bella copertina, si sono rivelati
dei libri normalissimi se non addirittura scritti in maniera approssimativa.
Oggi ritengo che la situazione sia leggermente migliorata, anche se continuo a
vedere che molti autori più che validi non vengono promossi a favore di altri
forse non così meritevoli. Per quanto riguarda gli scrittori stranieri
(soprattutto americani o inglesi), sembra effettivamente che gli editori si
affidino ai loro scritti quasi ad occhi chiusi (pensa che ad un certo punto,
per farmi notare, volevo presentarmi con uno pseudonimo: Scott O'Connell:
maschio e straniero). Sono comunque fiduciosa che i grandi cambiamenti che sta
subendo il mondo dell'editoria a seguito della diffusione di ebook, internet,
ecc. possa portare ad un ulteriore miglioramento della situazione.
Ringraziamo Francesca Verginella per le sue risposte e per averci fatto conoscere qualcosa in più di lei. E voi cosa ne pensate? La conoscevate già come autrice?
bella intervista ..amo le persone poliedriche..ah come vorrei saper cucire,..è una cosa che desidero tantissimo.
RispondiEliminagrazie ^_^ e sì anche a me piacerebbe saper fare tante cose ma ... cucire non fa per me
Eliminaho letto due suoi scritti e presto ne leggerò un terzo :)
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