Titolo: La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno
Autore: Francesca Sensini
Prima edizione: il melangolo - 13 maggio 2021
Pagine: 144
Prezzo: cartaceo - € 10,00
La Grecia è una questione di memoria. La sua lingua, la sua storia, occhieggiano nel buio della nostra dimenticanza, che questo libro vuole illuminare, ripercorrendo una storia ininterrotta, che va da Omero e arriva fino a oggi. Dentro di essa si innesta, da una parte, il sogno di un occidente ideale, che è anche il sogno di noi stessi; dall'altra, il percorso storico di un popolo che nel 2021 festeggia i duecento anni dalla sua rivoluzione nazionale. Queste pagine sono l'elogio della continuità di una storia e di una lingua splendidamente contaminate da avventurose esperienze. Ed è un elogio che non vuole dimostrare le sue ragioni con argomenti logici; ma con i racconti che le parole portano con sé, le antiche, le moderne. La prima è, appunto, "memoria".
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Nella nostra immaginazione il greco antico prende forma di un tempio sbiancato da secoli e predoni, racconta una civiltà caduta in disgrazia, sprofondata fuori dal tempo come una Atlantide poco meno leggendaria.
Richiamando alla mente le poche nozioni di linguistica che gli studi universitari mi hanno lasciato, so che è possibile per una lingua morire proprio perché è materia viva, soggetta a influenze e trasformazioni. Tuttavia, una lingua muore quando cessa di essere parlata e non vi è più alcuno in grado di parlarla.
L’appassionata disamina di Sensini dimostra, però, che il destino del greco antico non è stata la morte. La lingua degli dei, dunque, smantella la scissione tra passato e presente, tra la polverosa e sbiadita Ellade della memoria (dell’Italia e dell’Occidente) e la Grecia moderna.
Sensini si propone di correggere la nostra comune memoria della Grecia, raccontando la storia delle sue parole e degli dèi, a partire da una piccola filastrocca tramandata a partire dal XV secolo, quando i Greci frequentavano scuole segrete per imparare la propria lingua e la propria cultura, vietate dalla dominazione turca.
Si tratta, secondo Sensini, di storicizzare correttamente gli eventi. Un capitolo notevolissimo del libro titola «Bisanzio non esiste» e introduce per l’appunto una correzione che si sviluppa per tappe lungo il saggio e riguarda la percezione dell’Impero Romano d’Oriente quale culla del vizio e della corruzione, sintomi e cause della decadenza. In realtà, e Sensini si richiama allo Zibaldone leopardiano, i romáioi, i romani di lingua greca e cultura ellenistica, raccolsero l’eredità romana prosperando e conservandone la memoria nei secoli.
Il saggio di Francesca Sensini si articola in capitoli piuttosto brevi e piacevoli da leggere anche singolarmente perché ciascuno di essi è dedicato a un concetto specifico, che l’autrice sviluppa fino a giungere a quello successivo.
Ciò che rende la lettura agile sono i riferimenti al mito e agli aneddoti personali dell’autrice. Nei capitoli si rincorrono, dunque, storie piccole e grandi di parole che la lingua italiana ha settorializzato preferendo nell’uso comune termini di origine latina e che il greco moderno ha conservato in tutta la loro espressività, spesso trasformandole e affiancandole ad altre.
Se in un primo momento gli studi classici sono stati fondamentali affinché il libro mi attirasse, non vi è dubbio che la lettura sia divenuta sempre più stimolante proprio grazie alla struttura del libro e alla capacità di suggerire una prospettiva storico-culturale che raramente siamo invitati a adottare o, più semplicemente, ad approfondire.
Quindi, sebbene sia indubbio che gli appassionati di lettere classiche e gli studiosi di greco possano sentire una qualche attrazione per la tematica, credo sia un testo interessante e alla portata di tutti. La lingua degli dei, infatti, dimostra come nella lingua greca antica e moderna vi sia molto della nostra cultura e ci riguarda a dispetto della luce che distorce la prospettiva e allontana la Grecia.
Ci troveremo di fronte a idee e concetti che, nella nostra lingua neolatina, sono stati in qualche modo sistemati dentro lucide teche foderate di velluto, chiusi in una cristalliera come i bicchieri e le posate d’argento per le grandi occasioni.
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