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Recensione: Romanzo di un naufragio - Pablo Trincia


ROMANZO DI UN NAUFRAGIO
di Pablo Trincia
Einaudi | Stile Libero Extra | 256 pagine
ebook €9,99 | cartaceo €17,50
11 gennaio 2022 | scheda Einaudi

Dall'autore di "Veleno". La Costa Concordia, la più grande nave passeggeri ad aver mai fatto naufragio. Una vicenda gigantesca che racchiude centinaia di storie: storie di coraggio e di viltà, di vite spezzate e di imprevedibili nuovi inizi. Un secolo esatto dopo l'affondamento del Titanic, la punta di diamante della flotta di Costa Crociere percorre il Mediterraneo in senso antiorario. A bordo, più di quattromila persone di 64 nazionalità diverse. Ci sono coppie in viaggio di nozze, famiglie riunite per una ricorrenza, persino un gruppo di parrucchieri che deve partecipare a un reality. E oltre mille membri dell'equipaggio, molti dei quali provenienti da Paesi poveri e lontani. La sera del 13 gennaio 2012 – quella in cui la Concordia urta degli scogli vicino all'isola del Giglio, finendo sotto gli occhi del mondo intero – ha segnato le esistenze di tutti loro. Pablo Trincia racconta lo splendore del divertimento a bordo e il trauma dell'impatto, lo smarrimento e la lotta per la sopravvivenza. Conflitti e alleanze generati da una tragedia ricostruita attraverso testimonianze uniche, come quella dei sommozzatori che si sono addentrati nei vani spettrali della nave, trovando un universo sommerso di valigie, scarpe, lenzuola, corpi. Come quella degli abitanti del Giglio, che hanno visto una folla di disperati riversarsi sul loro piccolo molo e, per accoglierla, hanno aperto senza esitazione le porte delle proprie case. «La balena d'acciaio dentro la quale camminavano si stava deformando e sembrava potesse collassare da un momento all'altro. Ogni ora che passava si assestava di qualche centimetro, come per ricordare a tutti che era ancora viva. Tuttavia le operazioni non potevano fermarsi, i sommozzatori dovevano spingersi sempre più dentro e scendere sempre più a fondo. Avevano i nervi tesi, le mascelle serrate, il cuore a mille, gli occhi pronti a individuare in ogni momento una via di fuga. Più avanzavano, più sapevano che scappare da lì avrebbe richiesto minuti interminabili. Un tempo che nessuno avrebbe avuto».

La mia recensione
Ci sono episodi che segnano inevitabilmente la vita di tutti noi e diventano un post it, un promemoria di quell’esatto momento in cui accadono. Dove ero l'11 settembre 2001 quando due aeri colpivano le Torri Gemelle? Cosa stavo facendo il 6 aprile 2009 quando il terremoto scosse L'Aquila? Cosa il 13 gennaio 2012, ore 21:45 quando la Costa Concordia urtò uno dei tre scogli delle Scole, davanti all'isola del Giglio, strappandolo dalla sua sede naturale e portandolo con sé, finendo spinta dal grecale, dalle correnti, dal fato o dal "dito di Dio" a naufragare a pochi metri dall'isola, adagiandosi sempre di più su un fianco. 10 gradi, 20, 30, 35, alla fine saranno più di 90 gradi. Sapete cosa vuol dire? Che i pavimenti diventano pareti, le porte botole, i corridoi pozzi profondi che non danno scampo, le finestre lastre pronte a rompersi in ogni momento, si è costretti a camminare nell'angolo tra la parete e il pavimento, pochi centimetri che possono significare la salvezza o l'abisso. Cosa stavo facendo quando 4229 persone a bordo di una delle navi da crociera più belle, grandi e rinomate al mondo, passavano dalla spensieratezza di una vacanza al terrore di un qualcosa che nessuno avrebbe potuto pensare potesse accadere ancora, oggi, negli anni 2000? Io ricordo che quella sera, prima di andare a letto, avevo messo SkyTg24 e avevo letto un sottopancia, un'ultima ora: "NAVE PASSEGGERI IN BLACK OUT". Non ricordo se venisse specificato il luogo, ma una cosa ricordo bene, la giornalista che leggeva la nota allegata alla notizia "è solo un black out elettrico, non ci sarebbe pericolo". Lo ricordo bene, perchè ho pensato che non mi pareva questa gran notiziona, sarà capitato altre volte un black out su una nave. La mattina accendo la tv mentre preparo la colazione e il "semplice" black out elettrico era diventato uno dei più gravi incidenti marittimi della storia italiana. 

Pablo Trincia, già autore di Veleno, ripercorre la vicenda del Naufragio della Costa Concordia, parlando con chi in quelle ore era sulla nave, come passeggero, ma anche in qualità di personale di bordo, o a Giglio Porto e nel nero della notte ha visto quel grattacielo galleggiante avvicinarsi così tanto alla loro isola da poterlo quasi sfiorare, lo ha visto accendersi e spegnersi come una lucina di Natale e poi fermarsi e piegarsi sempre di più. Il racconto parte dalla casualità, o dal destino, di un giubbotto di salvataggio che dopo 4 anni in mare è approdato a pochi passi di chi su quella nave aveva sperato di passare qualche giorno spensierato e aveva invece trovato la paura e la perdita. Continua con la storia di una speranza, quella di Alexander Udhayakumar che da un paesino indiano era riuscito a farsi assumere dalla Costa Crociere, vitto e alloggio garantiti, uno stipendio con cui aiutare la famiglia a casa e poi i viaggi, la gente sempre nuova. Una vera svolta! E ancora la famiglia di Misano Adriatico che può finalmente avere qualche giorno di pausa dai pensieri quotidiani; chi è salito a bordo per festeggiare i 50 anni di matrimonio, chi è un abituè della Costa e vuole fare un ultimo viaggio prima che... . Tante storie, tante vite, che per un motivo o per l'altro, a volte puramente per sorte, erano su quella bella nave quella notte di gennaio. 

Naturalmente di questa terribile vicenda si è parlato in lungo e in largo, nel momento del fatto, ma anche dopo, per le vicende giudiziarie che hanno portato alla condanna del Comandante Schettino e per la colossale opera di recupero e spostamento della nave. Ma leggere questo libro è stato qualcosa di diverso, come se per la prima volta osservassi veramente da vicino questa storia, in ogni suo aspetto, in ogni suo momento. Pablo Trincia è bravo a tenere la tensione del racconto e a presentare al lettore tutte le sfaccettature della vicenda, portandolo a farsi una propria idea e non imponendo la sua. 

Naturalmente i racconti dei sopravvissuti o le storie di chi purtroppo da quella nave non è uscito sono le parti più forti del racconto, sono voci che ti restano in testa, un po' come le trascrizioni delle telefonate o delle registrazioni del Vdr di bordo. Tutti ricordiamo quel "salga a bordo, cazzo" urlato del capitano De Falco. Ma quello che mi ha fatto più rabbia, che proprio non mi è andato giù, sono le bugie, continue, reiterate, sempre più gravi, che si sommavano, si affastellavano una dopo l'altra, che sembravano andare di pari passo con l'inclinazione della nave, creando un baratro sempre più terribile, da cui non ci sarebbe stata salvezza. Ad un certo punto sono talmente assurde, talmente enormi, un vero e proprio negare l'evidenza, che ti ritrovi ad urlare letteralmente "Dai l'allarme generale, cazzo!". Sei fischi seguiti da un settimo più lungo... questo sarebbe bastato per salvare Dayana di soli 6 anni e suo padre; sei fischi e un settimo più lungo, premere subito quel pulsante, non dopo oltre 50 minuti dall'impatto con quello scoglio, dovuto alla leggerezza di un Comandante, ad una manovra che non andava fatta, ad un favore inutile al maitre. 50 minuti quando in questi casi 1 solo minuto può significare vivere o morire, 50 minuti in cui si è negato sempre e comunque che ci fossero problemi, che la nave stesse affondando. Nonostante il sopralluogo degli elettricisti di bordo che avevano chiaramente detto e ripetuto che era tutto sott'acqua; nonostante le chiamate dei passeggeri ai carabinieri sulla terra ferma che chiedevano disperatamente di salire sulle scialuppe...

"Avete già indossato i giubbotti?"
"No, alcuni non ce l'hanno, eravamo a cena... Non vogliono mettere a terra le scialuppe... ci sono tanti bambini a bordo... potete sensibilizzare la Concordia e dirgli di tirare giù le scialuppe? 'sta nave se sta a piega sempre de più! Non ci reggiamo più in piedi, non ci reggiamo più in piedi! Non vogliono calare le scialuppe!"

Nonostante fosse chiaro a tutti che quella nave era spacciata. Bugie su bugie. 

Non sono riuscita a staccarmi dalle pagine di questo libro neanche per un minuto, tanto è vero che l'ho letto tutto in una giornata. Mi ha lasciato un magone strano, sicuramente un senso di ingiustizia. Non dal punto di vista processuale, una condanna c'è stata anche se non i 27 anni richiesti. No l'ingiustizia sta altrove. Sta in quei sei fischi seguiti da un settimo più lungo dati con un vergognoso ritardo, dati troppo tardi per salvare tutti, dati quando la nave era talmente inclinata che l'unico modo per salvarsi era una biscaggina, una scaletta di corda, che correva lungo la fiancata e poi precipitava verso il mare per 50 metri, da fare da soli, con le proprie forze, al buio, con la paura di scivolare, di cadere, di non trovare i propri cari al porto. Questo libro ci parla di questo terribile e ingiusto ritardo, della follia umana che si è scatenata a bordo, una bestia disperata attaccata alla vita per esistere e tornare a casa, ma ci parla anche dei tanti casi di puro e semplice coraggio, un posto sulla scialuppa lasciato ad una mamma con due bambini piccoli, il vice sindaco del Giglio che su quell'inferno ci è salito controcorrente per coordinare i soccorsi, l'elettricista di bordo che ha continuato a fare avanti e indietro dalla nave al porto con una scialuppa per salvare più persone possibile. Atti di puro cuore che forse a volte davanti a questa enorme tragedia restano in secondo piano, ma ci sono. 

Voto



Alla prossima






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